Saggistica: L’assedio di Gerusalemme

L'assedio di GerusalemmeAutore: Conor Kostick
Titolo originale: The Siege of Jerusalem. Crusade and Conquest in 1099
Argomento: Storia
Editore: Il Mulino / Biblioteca Storica

Anno: 2009
Pagine: 275

Nel Medioevo, le battaglie campali erano un fatto piuttosto raro. I contingenti militari potevano contare su forze dal numero piuttosto esiguo, in genere difficili da controllare e anche più da coordinare tra loro. In compenso, ogni tipo di potere politico – dal signorotto feudale sfigatello al libero comune al principe feudale – possedeva il suo luogo fortificato dietro cui ripararsi, dalla piccola motte fortificata in legno alla doppia fila di mura di pietra. Sicché, uno dei sistemi ricorrenti con cui i signori dell’epoca finivano col risolvere le zuffe era l’assedio. Per esempio pare che tra il 1101 e il 1112 re Luigi VI, nella sua ‘guerra al minuto’ per tenere a bada i signorotti feudali che circondavano il suo piccolo dominio, abbia preso parte ad almeno una dozzina di assedi (contro torrioni, fortezze, città).
Se si vuole scrivere una storia di guerra ambientata in uno pseudo-medioevo, è dunque essenziale capire come funzionassero gli assedi – come venissero organizzati, quali obiettivi avessero, quali strumenti venissero impiegati, eccetera. Mi ero già fatto un’idea di base sull’argomento leggendo saggi, diciamo, ‘di teoria generale’, come La guerra nel Medioevo di Contamine (di cui ho già parlato più di un anno fa); ma dato che un esempio vale più di mille parole, ero alla ricerca di cronache che raccontassero in concreto di questo o quell’assedio. Al contempo, fomentato da quel gioco riuscito a metà che era il primo Assassin’s Creed, avevo tanta voglia di Crociate e di Vicino Oriente. Fu così che mi imbattei ne L’assedio di Gerusalemme di Conor Kostick.

L’assedio di Gerusalemme del 1099, che vide un contingente franco-tedesco-normanno prendere la città santa nel giro di un mese, rappresenta il culmine della Prima Crociata. Ora, bisogna fare una precisazione: questo assedio (come tutta la campagna che lo precedette) non ha nulla di tipico; non può, in tutta onestà, essere preso come archetipo degli assedi medievali.
La mole esagerata di civili (tra pellegrini, preti, contadini) che i crociati si portavano dietro; la mancanza di una leadership chiara (ogni contingente manteneva un certo grado di indipendenza, e verso la fine della campagna l’esercito crociato si spaccò in due vere e proprie fazioni rivali!); il fatto che in diversi momenti fosse proprio la massa degli inermi a spingere e ‘guidare’ l’avanzata dell’esercito (specialmente all’inizio e dopo la presa di Antiochia), accecati dal bisogno di raggiungere Gerusalemme, impedendo così ai signori la pianificazione di una vera strategia; il clima escatologico di tutta la campagna, che mischiava interessi materiali e spirituali e trasmise all’esercito cristiano una determinazione estrema.
La Prima Crociata fu una campagna davvero particolare nel panorama del Medioevo; e tuttavia, nei quattro anni della sua durata, troviamo una tale quantità di assedi, spedizioni, scaramucce, marce, battaglie campali, e incontri diplomatici, da trasmetterci un affresco piuttosto ampio della vita militare di quel periodo.

Mappa della Prima Crociata

Una mappa approssimativa delle fasi della Prima Crociata. Quella che chiama ‘First wave of Crusaders’ è la massa dei ‘crociati poveri’; la seconda sono i contingenti guidati dai principi.

Nonpostante il titolo fuorviante, il saggio di Kostick ci mostra tutta la Prima Crociata: dall’appello di Urbano II al Concilio di Clermont, alla prima ‘Crociata dei poveri’ radunatasi attorno la stramba figura di Pietro l’Eremita; dall’incontro-scontro diplomatico tra l’imperatore bizantino Alessio Comneno e i signori cristiani che guidavano la spedizione crociata, al travestimento del normanno Tancredi per attraversare Costantinopoli senza dover prestare giuramento; dall’assedio di Nicea al primo spaccarsi dell’esercito crociato, quando Baldovino di Boulogne va a insignorirsi di Edessa; dal ritrovamento miracoloso della Lancia di Longino alle lunghe marce attraverso le aride terre della Palestina, all’apparizione ‘miracolosa’ delle navi genovesi sulle coste al largo di Gerusalemme; e poi, dopo la presa della città dalle mani del signore fatimide Iftikhar, la lotta politica tra Goffredo di Buglione e Raimondo di Tolosa – i due leader della spedizione – per chi si farà re della città, e la resa dei conti con il sopraggiunto esercito fatimide nella battaglia di Ascalona.
L’assedio e la presa di Gerusalemme veri e propri occupano il terzo centrale del libro, un centinaio circa di pagine. Kostick entra nel dettaglio di tutti i problemi che l’esercito crociato (diviso nei due accampamenti rivali di Baldovino e Raimondo) dovette affrontare per impossessarsi della città: l’individuazione di fonti d’acqua per combattere la sete mortale che piagava i crociati, la costruzione di macchine d’assedio per aprire una breccia nelle mura, il bisogno di infondere coraggio e speranza tra le proprie file, al tempo stesso tenendo sotto controllo tutti quei preti e quei santoni che di continuo avevano visioni messianiche. Il tutto, nella consapevolezza martellante di dover fare in fretta, perché l’emiro del Cairo stava mettendo in piedi un esercito per venire lì alle porte di Gerusalemme a pigliarli a calci in culo prima che potessero entrare nella città.

Il merito principale del libro di Kostick è nel suo stile narrativo, che gli dà quasi l’aria di un romanzo. Le note sono ridotte al minimo, e qualsiasi discussione sulle fonti è rimandata all’appendice. A campeggiare sono i grandi personaggi che hanno guidato la spedizione, personaggi tragicomici che paiono quasi usciti da un anime: Raimondo di Tolosa, l’austero e santissimo conte che secondo la volontà del papa avrebbe dovuto guidare la spedizione assieme allo stimato vescovo Ademaro di Le Puy, e che si trova continuamente gabbato dalla massa dei crociati; Goffredo di Buglione, che abbandona tutto per lanciarsi nella campagna e si conquista la stima di tutti grazie alle sue imprese eroiche e quasi sovrumane; il pragmatico normanno Boemondo, che passa con nonchalance dal progettare di rovesciare Alessio e insignorirsi di Costantinopoli a diventare suo fedelissimo vassallo nella riconquista dell’Anatolia, e il suo scapestrato nipote Tancredi, un pazzo disposto a tutto pur di non rinunciare alla propria indipendenza e di ritagliarsi un feudo nella Terrasanta; e poi Pietro l’Eremita, il santone un po’ ingenuo che infiamma gli animi dei poveri e li manda a farsi macellare a decine di migliaia, salvo poi essere messo da parte come l’ultimo degli sfigati quando arrivano i veri principi; e tutti gli altri preti ed eremiti che, dopo la morte di Ademaro, si contendono la leadership clericale facendo a gara a chi ha la visione più esagerata.
Questo approccio narrativo non impedisce comunque a Kostick di approfondire il contesto della spedizione, le cause della vittoria, la logica degli assedi. Per esempio, i successi dello scalcinato esercito crociato sono spiegati alla luce dell’incredibile frammentazione politica dei piccoli principati selgiuchidi, in costante lotta tra loro e spesso disposti a chiudere un occhio o anche a dare una mano all’avanzata degli ‘occidentali’ purché essa danneggiasse le città rivali – la tendenza del mondo musulmano a sottovalutare l’avanzata crociata fino a che non fu bene addentro in Palestina è più volte sottolineata da Kostick. L’assedio di Gerusalemme è corredato da una serie di diagrammi che mostrano la disposizione delle forze nelle varie fasi dell’assedio, e l’ordine e la direzione con cui entrarono i contingenti al momento della presa. E ancora, il massacro indiscriminato della popolazione di Gerusalemme da parte dei crociati dopo la presa della città è spiegata dall’autore – oltre che dall’impossibilità dei capi militari di controllare la massa dei pellegrini e dei milites, malridotti, affamati e incazzati neri – dalla frustrazione insorta nella gente dopo l’insoddisfacente cessione di Nicea con tutti i suoi beni all’imperatore bizantino.

Assedio di Gerusalemme

Il contingente di Goffredo di Buglione conquista le mura settentrionali di Gerusalemme grazie a una traballante torre d’assedio su ruote.

L’assedio di Gerusalemme, insomma, non mette semplicemente in scena una campagna militare, ma ci dà anche un’idea di quella che doveva essere la mentalità dell’epoca. I principi cristiani, benché dominati dal bisogno di dimostrare il loro valore, e capaci di infiammarsi sinceramente per una profezia messianica o per il ritrovamento di una reliquia, appaiono come dei pragmatici figli di puttana. Gente concreta, che sa che la propria sopravvivenza e il loro potere deriva dal costruirsi una rete clientelare e dall’impossessarsi di un territorio in loco; gente che dopo qualche anno diventa riluttante a proseguire la campagna, e sarebbe ben disposta a rinunciare alla liberazione del Santo Sepolcro in cambio di una conquista sicura (come Boemondo, che abbandona l’esercito dopo essersi insignorito di Antiochia). Gente che sa che gli assedi e le battaglie sono un problema pratico, che si risolve con accorgimenti tecnici e che non si può abbandonare all’estro demenziale del popolino o dei preti.
Al contempo notiamo come, già in quell’epoca, fossero sempre i poveri e i milites di ‘ceto medio’ a pigliarla in culo: mentre nei deserti del Medio Oriente i pellegrini muoiono come mosche, devastati dalla fame, dalla sete e dalla malattia, i grandi principi continuavano nelle loro tende a fare la bella vita, circondati dei cibi più raffinati. Non è un caso se al termine della Crociata, nonostante l’esercito cristiano abbia perso più di diecimila uomini, i principi che l’hanno guidata siano praticamente ancora tutti vivi. Lo stesso Iftikhar, mentre i suoi concittadini vengono sterminati a migliaia dai cristiani, rifugiatosi con i suoi nella Cittadella fortificata, riesce a contrattare con il conte Raimondo un’onorevole resa e se ne fugge illeso nel cuore della notte.

Certo, è possibile che Kostick si sia preso qualche licenza poetica nel tratteggiare i protagonisti di questa storia – ma nel complesso mi sembra tutto credibile, e coerente con quanto ho letto in altri testi sul periodo. Nell’Appendice bibliografica che chiude il libro, Kostick mette da parte lo stile narrativo per discutere seriamente i criteri che ha seguito nello scrivere il saggio. Come si sia regolato nel caso di fonti discordanti, con che criteri abbia riempito i vuoti; le fonti principali sono anche contestualizzate e discusse nel dettaglio una per una. Insomma, se avevate il dubbio che l’autore, per essere più scorrevole, fosse stato più superficiale, questa appendice dovrebbe togliervelo.
L’assedio di Gerusalemme è, chiaramente, un testo divulgativo, pensato per chi conosce poco la storia della Prima Crociata e della presa della Città Santa. Chi è già esperto dell’argomento ci troverà ben poco; ma per tutti gli altri – aspiranti scrittori o semplici curiosi – è una lettura consigliatissima. Grazie al suo stile, è uno dei libri di storia più piacevoli e affascinanti che mi sia mai capitato di leggere. Soprattutto, mi ha reso più concrete quelle nozioni di guerra e società che avevo appreso su altri libri, inserendole in una storia.

Pietro l’Eremita mostra ai crociati la strada per Gerusalemme. Fatto simpatico, il santone non morirà falcidiato dai turchi come la maggior parte dei suoi seguaci, ma finirà serenamente i suoi giorni in Francia una ventina d’anni dopo la presa di Gerusalemme.

Lascio a gente più preparata di me ulteriori giudizi sull’attendibilità della ricostruzione di Kostick. Ma permettetemi di concludere con uno stralcio dall’introduzione:

Martedì 7 giugno 1099: una folla di gente dall’aria provata si era raccolta su una collina per guardare l’orizzonte che schiariva a oriente. A circa un chilometro di distanza, i contorni delle mura e degli edifici di una città andavano facendosi sempre più netti nella luce dell’alba; per raggiungere quel punto ciascuno di loro aveva arrancato nell’oscurità, la notte precedente. Non appena allodole, fringuelli, rondini e rondoni salutarono il nuovo giorno con il loro canto, anche quella folla iniziò a mormorare in un’infinità di voci diverse: preghiere sussurrate in tutte le lingue e dialetti della cristianità.
Come la luce si fece più forte, quella moltitudine divenne più distinta: qui un arciere con l’arco a tracolla, laggiù un fante con la corazza di cuoio, appoggiato alla sua lancia come a un bastone. E in mezzo a coloro che erano pronti a combattere si poteva notare un sorprendente numero di gente disarmata, tra cui preti, suore, donne e bambini di ogni età.
A breve distanza, un gruppo di 70 cavalieri disposti in una fila ordinata scortava la folla appiedata con un certo compiacimento. Le loro cotte di maglia e gli elmi lucidi splendevano delle rosee tinte dell’alba. Quegli stessi cavalieri, il giorno precedente, avevano compiuto un’incursione di avanscoperta, e ne erano tornati con la notizia che la città era ormai vicina, inducendo la folla di straccioni ad arrancare tra le rocce per tutta la notte, nella speranza di vedere finalmente la manifestazione fisica dei loro sogni. Fieri della responsabilità per quanti si erano affidati alla loro protezione, i cavalieri stavano all’erta, scrutando in tutte le direzioni l’orizzonte che schiariva, in cerca di nuvole di polvere nell’aria del mattino, vale a dire di eventuali segni della presenza del nemico. Alla testa della squadra di cavalieri vi era un piccolo drappello di guerrieri, raccolti con stendardi e lance attorno ai due capi della schiera: Tancredi e Gastone di Béarn. A dispetto dei suoi ventisei anni, Tancredi era già l’eroe di quella compagnia.
[…] Insieme ai ritardatari, chiudeva il gruppo l’anziano conte di Tolosa, Raimondo di Saint-Gilles, quarto del suo nome. Cinquantun’anni, la barba grigia, uno sfregio che gli solcava tutto un lato del volto e l’occhio guercio, il conte procedeva scalzo e piuttosto di malumore. Soltanto i preti e chierici provenzali al suo seguito stavano prendendo sul serio le parole di un umile visionario, Pietro Bartolomeo, morto in un’ordalia del fuoco per provare che il conte era stato prescelto dal Signore per guidare le armi cristiane. Pietro Bartolomeo aveva messo in guardia i crociati: il loro ingresso in Terrasanta doveva avvenire a piedi nudi e con cuore contrito, o avrebbero perso il favore divino; ma nell’eccitazione della vicinanza della città la massa di era del tutto dimenticata della profezia. Anche il grosso dei cavalieri e dei seguaci di Raimondo si era precipitato in avanti insieme agli altri, ma il conte calcava pazientemente la pista con i piedi scalzi, e camminava nella polvere creata dalle migliaia di uomini che lo precedevano. Anche se i suoi compagni cristiani trascuravano di osservare questo atto di umiltà, gli occhi onniveggenti di Dio erano sicuramente su di lui.
Più avanti sul costone, la folla si faceva sempre più fitta e più ampia. Nonostante le profonde rivalità politiche tra i sassoni, i normanni, i provenzali e i molti altri contingenti regionali, un senso di successo condiviso invase tutti quanti nel vedere gli edifici della vicina città stagliarsi contro l’orizzonte che schiariva. A quel punto, infatti, tutti quanti furono pervasi dalla consapevolezza di avere raggiunto infine l’obiettivo, un luogo che era stato ritenuto quasi mitico. La parola che ora si levava con gioia, gridata tra le lacrime, era comprensibile in tutte le loro lingue.
Gerusalemme.

Gerusalemme 1099

Bonus: La guerra santa
La guerra santaAutore: Jean Flori
Titolo originale: La guerre sainte. La formation de l’idée de croisade dans l’Occident chrétien
Argomento: Storia
Editore: Il Mulino / Storica Paperbacks

Anno: 2001
Pagine: 441

Il libro di Kostick è molto dettagliato nel racconto della Prima Crociata, ma dice poco sulle motivazioni e sul “clima culturale” che l’ha prodotta. Per chi volesse approfondire quest’ultimo aspetto, una soluzione potrebbe essere La guerra santa di Jean Flori.
Per capire lo strano fenomeno che ha portato alla mobilitazione di massa della popolazione europea (e di tutti i suoi strati sociali!) per la crociata, Flori parte da una domanda: che cos’è esattamente la ‘crociata’? I vari capitoli analizzano uno ad uno tutti i fenomeni religiosi e sociali che nei secoli precedenti il Concilio di Clermont hanno portato alla nascita della ‘mentalità della crociata’: la crescita dell’autorità dei vescovi, le paci e le tregue di Dio, la militarizzazione dei santi, la riforma gregoriana del Papato, la reconquista spagnola e così via. Ciascun fenomeno è studiato nel dettaglio, e a ciascuno è dato il giusto peso.

A differenza di L’assedio di Gerusalemme, il saggio di Flori non ha un andamento narrativo; è un testo molto tecnico e approfondito, che si confronta di continuo con le tesi degli storici che l’hanno preceduto per confermarle o confutarle. Tira fuori stralci di documenti e fa le pulci ad ogni dettaglio. Se le pagine di Kostick sono puro testo, quelle di Flori hanno dalle due alle cinque-sei note a pagina – la bibliografia di riferimento è sterminata.
Certo, non tutte le tesi di Flori mi convincono, e su tutte il mettere troppo in secondo piano il bisogno espansionistico della piccola nobiltà feudale. Un critico marxista direbbe (a ragione) che l’analisi di Flori è tutta sovrastruttura e niente (o quasi) struttura: si concentra talmente sulla storia delle mentalità da trascurare le cause materiali che ci stanno dietro. Ma triangolando La guerra santa con altri saggi di cui ho parlato in precedenza – la seconda parte di La guerra nel Medioevo, La società feudale di Bloch, Civiltà e potere di Elias, La santità nel Medioevo – viene fuori un quadro abbastanza chiaro di ciò che ha causato la nascita delle Crociate.
Ancora, a volte sembra che Flori stia discutendo del sesso degli angeli; alcuni passaggi entrano davvero troppo nel dettaglio per essere di qualche interesse per il non specialista. Ma, di nuovo: diversamente da quello di Kostick, che è divulgazione estrema, questo è un saggio per specialisti. Non è un libro per tutti, ma per chi sia disposto a spaccare il capello in quattro pur di capire che cosa è stata la crociata.

Addendum: Due Osprey sugli assedi
Osprey Medieval Siege Warfare (1)E se volete approfondire la vostra conoscenza degli strumenti d’assedio, vi viene in aiuto Osprey! La collana Vanguard  ha pubblicato una decina d’anni fa due agili volumetti sulla storia, il funzionamento e l’impiego delle armi da assedio. Il primo si incentra sul mondo occidentale, il secondo su Bisanzio, il Medio Oriente e l’India. Sono davvero piccoli: sommati non raggiungono le 100 pagine.

Osprey Medieval Siege Warfare (2) Non li ho ancora letti – anche se probabilmente lo farò, nel momento in cui deciderò di mettere degli assedi in una delle mie storie – ma ci ho dato un’occhiata e sembrano roba buona. Inoltre Zwei vi ha apposto il suo sigillo di approvazione.
Entrambi si possono trovare su Emule.

4 risposte a “Saggistica: L’assedio di Gerusalemme

  1. Dal brano che hai proposto il libro di Kostick non mi ispira proprio, sembra (in peggio) Valerio Massimo Manfredi. I libri storici stile docu-fiction a mio parere non sono quasi mai opere riuscite e rimangono degli ibridi insoddisfacenti. Se dovessi consigliare ad un neofita delle letture per documentarsi sul periodo propenderei decisamente per gli Osprey che sono ottimi. Su veri romanzi ambientati in quel periodo e interessanti aspetto suggerimenti perché non me ne vengono in mente.

  2. Complimenti Tapiro. Questi articoli sono quelli che personalmente preferisco di più.
    Per i combattimenti all’arma bianca hai qualche testo da consigliare utile per mostrare un combattimento realistico?

  3. @Dunseny:

    Dal brano che hai proposto il libro di Kostick non mi ispira proprio, sembra (in peggio) Valerio Massimo Manfredi.

    Non frequento il Manfredi saggista e non mi esprimo, ma se ti riferisci al Manfredi romanziere sei fuori strada. L’incipit del libro di Kostick è molto narrativo, ma il libro rimane comunque molto chiaramente un saggio; l’autore racconta in ordine cronologico quel che è successo ma, come dicevo, spiegando nel contempo le cause, il contesto, eccetera.
    Non ho avuto impressione né di sciatteria né di superficialità, benché per essere certi che Kostick abbia fatto un buon lavoro bisognerebbe leggere altre opere sullo stesso argomento e confrontarle (per questo genere di cose mi rimetto a persone come Zwei).

    Se dovessi consigliare ad un neofita delle letture per documentarsi sul periodo propenderei decisamente per gli Osprey che sono ottimi. Su veri romanzi ambientati in quel periodo e interessanti aspetto suggerimenti perché non me ne vengono in mente.

    Gli Osprey mi piacciono, ma li preferisco nei lavori a breve respiro, molto dettagliati. C’è per esempio un Osprey della collana “Campaign” dedicato alla Prima Crociata, ma per forza di cose è più sintetico (meno di 100 pagine, e con in più molte illustrazioni e foto di reperti) e quindi nel complesso meno soddisfacente. Direi che l’Osprey in questione potrebbe affiancare il Kostick – soprattutto per il colpo d’occhio delle immagini – ma non sostituirlo.

    Quanto ai romanzi sono d’accordo, non vengono in mente neanche a me. C’è però un romanzo ambientato più o meno in quel contesto di cui mi piacerebbe parlare nelle prossime settimane…

    @Reno:

    Per i combattimenti all’arma bianca hai qualche testo da consigliare utile per mostrare un combattimento realistico?

    Di combattimenti non mi intendo; ti consiglio di chiedere a Zweilawyer, che invece ne ha fatto la sua ragione di vita! Anzi, per prima cosa dai un’occhiata alla Bibliografia pubblicata sul suo blog e ai suoi articoli storici, e vedi se non trovi già qualcosa di utile.

  4. @Tapiro
    Eh ci sono andato, ma sono tutti in Inglese. So che esistono manoscritti tipo Flos Duellatorum, ma sono pubblicati senza spiegazioni o esempi pratici. Ho fatto una domanda simile lì, ma è cascata nel vuoto. Pazienza e grazie comunque

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