I Consigli del Lunedì #16: Childhood’s End

Le guide del tramontoAutore: Arthur C. Clarke
Titolo italiano: Le guide del tramonto
Genere: Science-Fantasy / Apocalyptic SF
Tipo: Romanzo

Anno: 1953
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 220 ca.

Difficoltà in inglese: **

Un bel giorno, verso la fine del XX secolo, dal cielo piomba una flotta di gigantesche navicelle aliene. Le astronavi si piazzano sopra ognuna delle principali città terrestri, e lì restano, sospese e immobili, come monito. Ma non c’è da avere paura. Attraverso la voce di Karellen, Supervisore per la Terra, i Superni (Overlords) dichiarano di essere venuti per impedire che gli esseri umani si distruggano con le proprie mani, e per traghettarli verso una nuova era di pace globale e prosperità.
La superiorità dei Superni è talmente evidente che l’opposizione è inesistente. I governi terrestri mantengono un’autonomia limitata, ma tutte le questioni di reale importanza vengono decise dagli alieni. Tuttavia i Superni non si mischiano con gli esseri umani; al contrario, rimangono chiusi nelle astronavi e rifiutano di farsi vedere. L’umanità non è ancora pronta, dice Karellen – dovranno passare cinquant’anni dal loro arrivo, prima che si risolvano a mostrare il loro aspetto. Solo un uomo è autorizzato a parlare con i Superni e a comunicare le loro decisioni ai governi terrestri: Rikki Stormgren, segretario finlandese delle Nazioni Unite. Ma neanche a lui è permesso di vedere in faccia gli invasori; Karellen gli parla solo attraverso un microfono in una stanza oscurata della sua astronave.
Cosa nascondono i Superni, e quali sono i loro progetti per la Terra? Quel che è certo, è che il destino politico e biologico dell’umanità sembra destinato a cambiare per sempre…

Arthur C. Clarke, uno dei Big Three della fantascienza della Golden Age, è noto soprattutto per i suoi romanzi di Hard SF – le sue vaste competenze di matematica, fisica e ingegneria gli permettevano infatti di speculare sulle modalità del viaggio spaziale, della fondazione di colonie nel Sistema Solare e della terraformazione di pianeti e satelliti, e sulla società del futuro.
Ma questo Childhood’s End, che secondo il parere mio e di molti altri fan è il migliore in assoluto di Clarke, ha ben poco di hard. La tecnologia degli Overlord, e il mondo che portano con sé, appartengono a quel grado di scienza che, secondo la legge formulata dallo stesso Clarke, diventa indistinguibile dalla magia. L’intero romanzo è una speculazione puramente fantastica sul nostro mondo dopo un’invasione “benevola” di una civiltà infinitamente superiore, e sul destino sociale e genetico del genere umano.
Da Olaf Stapledon (che considerava suo maestro spirituale) e dai suoi Last and First Men (di cui ho parlato qui) e Star Maker, Clarke riprende l’idea di raccontare una storia dell’umanità più che quella di pochi individui – anche se sceglie di farlo attraverso le storie di alcuni personaggi. Similmente a A Canticle for Leibowitz, il romanzo è diviso in tre parti che corrispondono a tre diversi periodi cronologici (anche se l’intervallo tra una parte e l’altra è di solo mezzo secolo anziché 500 anni). Ogni parte ha i suoi personaggi, anche se alcuni ricorrono in più di una parte; e in ogni caso Clarke è pronto ad abbandonarli appena non gli servono più. Qui l’unico protagonista è il genere umano.

Indipendence Day

Ecco, immaginatevi una cosa del genere. Solo che poi gli alieni non sparano un megaraggio della morte sopra Los Angeles.

Uno sguardo approfondito
Lasciatemi subito chiarire una cosa, così poi non ci pensiamo più: Clarke è un cane della scrittura. La sua è una delle prose peggiori che potrete mai trovare tra i “grandi” della fantascienza, e forse persino la Troisi scrive meglio. La storia è raccontata con una “bella” terza persona onnisciente, che a seconda delle circostanze si avvicina o si allontana dal personaggio pov del momento. Nelle scene con la maggior concentrazione di personaggi pov (per esempio all’inizio della seconda parte), la telecamera è anche capace di saltare dall’uno all’altro nello spazio di poche righe.
Il lettore è bombardato per tutto il romanzo da battaglioni di infodump, che quando va bene vengono filtrati dal pensiero del personaggio pov, quando va male ti vengono schiaffati addosso direttamente dal Narratore. Interi periodi della storia sono raccontati in modo statico e riassuntivo, come se Clarke volesse preparare il setting della prossima scena saliente ma fosse troppo pigro per farlo in modo immersivo. Completano il quadro un uso indiscriminato di aggettivi e avverbi.

I personaggi sono poco più che burattini nelle mani dell’autore, la cui funzione si esaurisce nel mostrare da un’ottica “a misura d’uomo” le progressive trasformazioni della nostra civiltà. E fin qui, non ci sarebbe nulla di male. I problemi cominciano quando Clarke tenta di dare a questi manichini una falsa patina di profondità, facendo incursioni nella loro testa o soffermandosi su dei momenti drammatici. Ma poiché le loro tribolazioni ci sono “raccontate” dall’autore anziché mostrate con gesti concreti, e poiché la loro generale piattezza impedisce al lettore di mettersi più che tanto nei loro panni, è difficile provare della vera empatia. Ad alcuni dei protagonisti succederanno delle cose veramente brutte, ma l’impatto emotivo è smorzato dalla pochezza della prosa di Clarke. Bisogna scegliere: o si decide che è un romanzo scientifico, e allora i personaggi sono semplici “veicoli” della speculazione e stanno ai margini della trama; o si decide di approfondire il mondo interiore dei personaggi, ma allora si abbandona il pov onnisciente, si impara a mostrare lo stato emotivo delle persone e si studia meglio la psiche umana!1
Alcuni dei protagonisti di Childhood’s End fanno parziale eccezione. Il segretario Rikki Stormgren, per esempio, combattuto tra la sincera ammirazione e fiducia verso il Sovrintendente alieno, e la sua lealtà alla propria razza, privata della propria indipendenza. Il bisogno un po’ infantile di scoprire, almeno lui, il vero aspetto degli alieni, diventerà l’obiettivo più importante della sua vita, e il lettore lo segue con simpatia e partecipazione nella sua quest. Oppure Jan Rodricks, astrofisico nero insoddisfatto della fine del progresso e della stagnazione che gli alieni hanno portato sulla Terra, che sogna di imbarcarsi clandestinamente su una delle astronavi per conoscere il pianeta d’origine degli Overlord. O lo stesso Karellen – personaggio titanico, come ogni alieno superevoluto che si rispetti, insondabile nelle sue motivazioni, e con una sfumatura di ironia triste nella voce che ti fa chiedere cosa nasconda.

Spaventapasseri

Un essere umano, nell’immaginario di Clarke.

Fa il paio con i personaggi deboli la divisione del romanzo in più periodi storici. Il lettore abituato alle storie a intreccio – magari sul tipo delle interminabili Cronache di Martin – potrebbe fare fatica ad andare avanti nella lettura, con un tale ricambio di personaggi e situazioni. In parte il problema è caratteristico di questo tipo di romanzo, e non può essere evitato. In parte è colpa di Clarke, che nel tessuto della storia principale apre troppe sotto-trame, alcune delle quali non riesce neanche a chiudere (o non in modo convincente). Per esempio la storia della colonia di Nuova Atene, potenzialmente molto interessante, è messa in piedi in modo raccogliticcio (con la tipica descrizione statica del Narratore che va avanti per pagine e pagine), e conclusa in modo sbrigativo quando il focus del romanzo si sposta da un’altra parte.
Un tipo diverso di lettore, però, potrebbe rimanere affascinato proprio per l’abbondanza di spunti e avvenimenti. I colpi di scena, la risposta a vecchie domande e la proposizione di nuove domande si succede a un ritmo rapido, tanto che mi sono rifiutato di svelare più delle prime pagine del romanzo per timore di farvi degli spoileroni. Succede un sacco di roba, e su ordini di grandezza sempre più alti.

Soprattutto, Childhood’s End è un romanzo che trasuda sense of wonder da tutti i pori – e non quello pervasivo ma modesto di molti romanzi di New Weird o Bizarro Fiction, ma proprio quello che – per usare le parole di Gamberetta – ti fa dire WOW! in lettere maiuscole. Prendendo le mosse da un’invasione aliena, Clarke ci parla di evoluzione, di poteri esp, di teologia, della struttura stessa del cosmo, del destino ultimo della razza umana. Ci parla di un universo in cui le forze in gioco sono talmente grandi, che un misero uomo non può fare nient’altro che stare a guardare.
Fin troppo, forse. Alcuni passaggi, specialmente verso la fine, sanno un po’ troppo di deus-ex-machina, un po’ troppo di “eh, gli insondabili misteri dell’Universo!”. E a volte potrebbe sembrare che Clarke si abbandoni a una crudeltà gratuita – anche se io ho apprezzato molto la sua mancanza di buonismo; del resto la natura non è ‘buona’, al cosmo non gliene frega niente del benessere degli esseri umani. E alcune risposte agli enigmi disseminati da Clarke non sono convincenti: per esempio, la spiegazione del perché gli esseri umani siano terrorizzati dall’immagine del diavolo con le corna e la coda a punta è un po’ tortuosa. Ma sono dettagli.

It was ALIENS

Childhood’s End è un romanzo pieno di tutti i difetti tipici della scrittura clueless di Clarke; ma è anche uno dei libri che mi ha più colpito negli ultimi anni. A differenza di molta fantascienza invecchiata male, questo romanzo ha il potere di lasciarti basito anche a settant’anni dalla pubblicazione. Leggetelo: è un ordine!

Dove si trova?
Purtroppo le ultime volte che ho controllato sia Bookfinder che Library Genesis erano down, perciò non ho potuto controllare se Childhood’s End si trova. Confermo però che è disponibile sul canale #ebooks di irchighway (mIRC).
In italiano, quasi tutti i romanzi di Clarke sono facilmente rintracciabili su Emule.

Su Clarke
Clarke è uno degli autori di fantascienza più famosi in assoluto, perciò con ogni probabilità conoscerete già (e magari avrete già letto) i suoi romanzi. Ma in Italia Clarke è stato sempre ripubblicato poco, ed è difficile trovare sue opere in libreria. Ecco perciò una breve carrellata delle sue opere più meritevoli:
Polvere di Luna A Fall of Moondust (Polvere di Luna), ambientato in un XXI secolo in cui la Luna è stata ampiamente colonizzata, racconta le vicende di una piccola navetta passeggeri, che durante una crociera sulla superficie del satellite, in seguito a un terremoto, “affonda” nella superficie del pianeta. La storia segue i tentativi dell’equipaggio e di un team di soccorso di recuperare la navetta, in una corsa contro il tempo. Una disaster story carina e scientificamente accurata, ma senza pretese.
2001: Odissea nello spazio  2001: A Space Odyssey (2001: Odissea nello spazio) lo conoscerete tutti. Rispetto al film, il libro, che Clarke ha scritto in contemporanea al lavoro di sceneggiatura con Kubrick, si prende più tempo per approfondire le vicende e in generale è molto più comprensibile. La parte ambientata nel paleolitico e l’ultima parte sono rese meglio nel libro, e il finale ha un senso. Comunque non è bello come Childhood’s End, benché i temi si assomiglino.
Rendezvous with Rama  Rendezvous with Rama (Incontro con Rama) è il romanzo BDO per eccellenza. Una grossa navicella spaziale di origine aliena entra nel Sistema Solare senza dichiarare le sue intenzioni; una squadra di militari e scienziati viene inviata ad esplorarla. Ma la navicella, ribattezzata ‘Rama’, si rivelerà un ecosistema artificiale completamente autosufficiente… Rama è il miglior libro di Clarke dopo Childhood’s End e, nonostante la solita pochezza della sua prosa e molte potenzialità sprecate, un piccolo capolavoro dell’Hard SF. Se non l’avete già fatto, leggetelo.
The Fountains of Paradise  The Fountains of Paradise (Le fontane del paradiso) segue la storia del dottor Vannevar Morgan, talentuoso ingegnere che sogna di costruire il primo ascensore spaziale – una piattaforma che possa salire dalla cima di una montagna dello Sri Lanka fino ad un satellite in orbita geostazionaria a 36000 km d’altezza. Il romanzo seguirà tutte le fasi del progetto, tra ostilità dei nativi, mancanza di fondi, incidenti e cambi di rotta, intrecciando la trama principale con flashback sul periodo leggendario dell’isola. Romanzo pieno di idee affascinanti, benché il ritmo sia piano e la suspence spesso ai minimi termini.
Tra i romanzi minori di Clarke, consigliati solo ai fan sfegatati, aggiungo i mediocri The Sands of Mars (Le sabbie di Marte), Imperial Earth (Terra imperiale) e Songs of the Distant Earth (Voci di Terra lontana). Un caso di romanzo promettente ma miseramente fallito è invece The City and the Stars (La città e le stelle) che in futuro mi piacerebbe includere in un articolo sui romanzi abortiti.

Chi devo ringraziare?
Tanto per cambiare, ho saputo dell’esistenza di questo libro grazie all’articolo su Il senso del meraviglioso di Gamberi Fantasy, benché ovviamente conoscessi già Clarke di fama. Gamberetta l’ha definito “come The End of Evangelion, solo che ha un senso”, il che è abbastanza vero.

Qualche estratto
Ho scelto due estratti dal primo capitolo della prima parte; ho preferito non spingermi molto oltre nel libro, per non rovinare qualche colpo di scena. Il primo estratto è un’infodumpata sgraziata ma affascinante sulle modalità dell’invasione degli Overlord; il secondo mostra il modo in cui il segretario Stormgren si mette in contatto con il Supervisore Karellen.

1.
It was, of course, only a very small operation from their point of view, but to Earth it was the biggest thing that had ever happened. There had been no warning when the great ships came pouring out of the unknown depths of space. Countless times this day had been described in fiction, but no one had really believed that it would ever come. Now it had dawned at last; the gleaming, silent shapes hanging over every land were the symbol of a science Man could not hope to match for centuries. For six days they had floated motionless above his cities, giving no hint that they knew of his existence. But none was needed; not by chance alone could those mighty ships have come to rest so precisely over New York, London, Paris, Moscow, Rome, Cape Town, Tokyo, Canberra…
Even before the ending of those heart-freezing days, some men had guessed the truth. This was not a first tentative contact by a race which knew nothing of Man. Within those silent, unmoving ships, master psychologists were studying humanity’s reactions. When the curve of tension had reached its peak, they would act.
And on the sixth day, Karellen, Supervisor for Earth, made himself known to the world in a broadcast that blanketed every radio frequency. He spoke in English so perfect that the controversy it began was to rage across the Atlantic for a generation. But the context of the speech was more staggering even than its delivery. By any standards, it was a work of superlative genius, showing a complete and absolute mastery of human affairs. There could be no doubt that its scholarship and virtuosity, its tantalizing glimpses of knowledge still untapped, were deliberately designed to convince mankind that it was in the presence of overwhelming intellectual power. When Karellen had finished, the nations of Earth knew that their days of precarious sovereignty had ended. Local, internal governments would still retain their powers, but in the wider field of international affairs the supreme decisions had passed from human hands. Argument — protests — all were futile.
It was hardly to be expected that all the nations of the world would submit tamely to such a limitation of their powers. Yet active resistance presented baffling difficulties, for the destruction of the Overlord’s ships, even if it could be achieved, would annihilate the cities beneath them. Nevertheless, one major power had made the attempt. Perhaps those responsible hoped to kill two birds with one atomic missile, for their target was floating above the capital of an adjoining and unfriendly nation.
As the great ship’s image had expanded on the television screen in the secret control room, the little group of officers and technicians must have been torn by many emotions. […] The screen became suddenly blank as the missile destroyed itself on impact, and the picture switched immediately to an airborne camera many miles away. In the fraction of a second that had elapsed, the fireball should already have formed and should be filling the sky with its solar flame.
Yet nothing whatsoever had happened. The great ship floated unharmed, bathed in the raw sunlight at the edge of space. Not only had the bomb failed to touch it, but no one could ever decide what had happened to the missile. Moreover, Karellen took no action against those responsible, nor even indicated that he had known of the attack. He ignored them contemptuously, leaving them to worry over a vengeance that never came. It was a more effective, and more demoralizing, treatment than any punitive action could have been. The government responsible collapsed in mutual recrimination a few weeks later.

Dal loro punto di vista, si era trattato di una missione trascurabile, ma per i terrestri era l’evento più importante che li avesse mai colpiti. Non c’erano state avvisaglie quando le grandi astronavi avevano cominciato a scendere dalle sconosciute profondità
dello spazio. Innumerevoli volte quel momento era stato descritto nelle opere di fantascienza, ma nessuno aveva mai creduto che un giorno potesse succedere veramente.
Ma quel giorno era venuto: le lucenti sagome che ondeggiavano silenziose sopra ogni nazione erano il simbolo di un progresso scientifico che l’uomo non avrebbe raggiunto per chissà quanti secoli. Per sei giorni erano rimaste sospese nella più assoluta immobilità sulle metropoli della Terra, senza fare niente, quasi ne ignorassero l’esistenza. Ma non c’era bisogno che dimostrassero di
sapere cosa c’era sotto di loro. Non poteva essere per caso che quelle astronavi si fossero fermate sopra New York, Londra, Parigi,
Mosca, Roma, Città del Capo, Tokyo, Canberra…
Anche prima che giungessero quei giorni di panico, qualcuno aveva intuito la verità. Quello non era che un primo tentativo di contatto da parte di una razza che ignorava tutto dell’uomo. Dentro le silenziose astronavi immobili, studiosi di psicologia stavano
certamente esaminando le reazioni dei terrestri. E, quando la tensione sarebbe arrivata all’apice, allora avrebbero agito.
Il sesto giorno, Karellen, Supercontrollore per la Terra, si fece conoscere agli uomini in una trasmissione radio che bloccò tutte
le radiofrequenze. Parlò in inglese perfetto, scatenando discussioni che infuriarono oltre l’Atlantico per una generazione intera. Ma il
significato del discorso fu più sbalorditivo della lingua usata per pronunciarlo. Fu indubbiamente il discorso di un genio che dimostrò
di conoscere alla perfezione le questioni terrestri. Nessun dubbio che la virtuosità di quel discorso, gli accenni a conquiste scientifiche ancora lontane per l’uomo erano destinati a convincere il genere umano che si trovava di fronte a forze intellettuali infinitamente superiori, Quando Karellen ebbe finito, ogni nazione seppe che i suoi giorni di precaria sovranità erano finiti. I governi
locali avrebbero conservato il potere, ma nel campo più vasto degli affari internazionali non sarebbero più stati gli uomini a decidere. Polemiche, proteste, fu tutto inutile.
Naturalmente non ci si poteva aspettare che tutte le nazioni avrebbero accettato con passiva rassegnazione un tale limite ai loro
poteri. Ma la ribellione aperta si rivelò irta di difficoltà, perché la distruzione delle astronavi dei Superni, ammesso che l’impresa
fosse possibile, avrebbe comportato la distruzione delle città sotto di esse.
Tuttavia, una delle grandi potenze aveva tentato. Forse quella nazione aveva sperato di prendere due piccioni… con un missile atomico, dato che il bersaglio era l’astronave sopra la capitale di una nazione confinante e ostile.
Nel momento in cui l’immagine della grande astronave si dilatava sullo schermo televisivo della segreta sala d’operazioni, i militari e i tecnici presenti dovevano essere stati travolti dalle loro stesse emozioni. […]
Di colpo, nell’attimo in cui il missile si disintegrava all’impatto, l’immagine sparì dallo schermo e immediatamente passò ad una telecamera aerea lontana chilometri e chilometri. In quella frazione di secondo, la sfera di fuoco formatasi in seguito all’esplosione
avrebbe dovuto riempire il cielo con la sua incandescenza.
Invece non era successo niente. L’astronave si librava illesa, illuminata dal sole ai limiti dello spazio visibile. Non solo non era stata colpita, ma nessuno avrebbe saputo dire cosa fosse successo al missile.
Karellen non prese nessun provvedimento contro i responsabili dell’attacco, e si sarebbe detto perfino che non se ne fosse accorto.
Ignorò sdegnosamente il fatto lasciando i responsabili a tormentarsi nell’attesa di una rappresaglia che non venne mai. Un atteggiamento
più efficace e più demoralizzante di qualsiasi azione punitiva. Poche settimane dopo, il governo responsabile entrò in crisi per le accuse reciproche dei suoi membri.

Reddito e alieni

Gli alieni pagheranno per questo.

2.
Karellen never kept him waiting for long. There was a sudden “Oh!” from the crowd, and a silver bubble expanded with breath-taking speed in the sky above. A gust of air tore at Stormgren’s clothes as the tiny ship came to rest fifty meters away, floating delicately a few centimeters above the ground, as if it feared contamination with Earth. As he walked slowly forward, Stormgren saw that familiar puckering of the seamless metallic hull, and in a moment the opening that had so baffled the world’s best scientists appeared before him. He stepped through it into the ship’s single, softly-lit room. The entrance sealed itself as if it had never been, shutting out all sound and sight.
It opened again five minutes later. There had been no sensation of movement, but Stormgren knew that he was now fifty kilometers above the earth, deep in the heart of Karellen’s ship. He was in the world of the Overlords; all around him, they were going about their mysterious business. He had come nearer to them than had any other man; yet he knew no more of their physical nature than did any of the millions on the world below.
The little conference room at the end of the short connecting corridor was unfurnished, apart from the single chair and the table beneath the vision screen. As was intended, it told absolutely nothing of the creatures who had built it. The vision screen was empty now, as it had always been. Sometimes in his dreams Stormgren had imagined that it had suddenly flashed into life, revealing the secret that tormented all the world. But the dream had never come true; behind the rectangle of darkness lay utter mystery. Yet there also lay power and wisdom — and, perhaps most of all, an immense and humorous affection for the little creatures crawling on the planet beneath.
From the hidden grille came that calm, never-hurried voice that Stormgren knew so well though the world had heard it only once in history. Its depth and resonance gave the single clue that existed to Karellen’s physical nature, for it left an overwhelming impression of sheer
size. Karellen was large — perhaps much larger than a man. It was true that some scientists, after analyzing the record of his only speech, had suggested that the voice was that of a machine. This was something that Stormgren could never believe.
“Yes, Rikki, I was listening to your little interview. […] The details of the World Federation have been out for a month now. Has there been a substantial increase in the seven percent who don’t approve of me, or the twelve percent who Don’t Know?”
“Not yet. But that’s of no importance: what
does worry me is a general feeling, even among your supporters, that it’s time this secrecy came to an end.”
Karellen’s sigh was technically perfect, yet somehow lacked conviction.
“That’s your feeling too, isn’t it?”
The question was so rhetorical that Stormgren did not bother to answer it.
“I wonder if you really appreciate,” he continued earnestly, “how difficult this state of affairs makes my job?”
“It doesn’t exactly help mine,” replied Karellen with some spirit. “I wish people would stop thinking of me as a dictator, and remember I’m only a civil servant trying to administer a colonial policy in whose shaping I had no hand.”

Karellen non lo faceva mai aspettare a lungo. Ci fu un’esclamazione improvvisa della folla, e una bolla argentea si dilatò nel cielo con velocità incredibile. Una raffica di vento investì Stormgren nell’istante in cui il piccolo veicolo spaziale si fermava a una
cinquantina di metri, restando sospeso a pochi centimetri dal suolo, quasi timoroso di un contatto con la Terra. Mentre camminava
lentamente verso la folla, Stormgren vide il familiare raggrinzarsi dello scafo metallico apparentemente senza connessure, e un attimo dopo l’apertura che aveva tanto stupito i più celebri scienziati del pianeta si rivelò. Lui entrò nell’unica sala scarsamente illuminata della piccola astronave. L’apertura si richiuse senza lasciare traccia, escludendo ogni suono e ogni vista dall’esterno.
Si riaprì cinque minuti più tardi. Non aveva avuto nessuna sensazione di movimento, ma Stormgren sapeva di essere a cinquanta chilometri sopra la Terra, profondamente incuneato nel cuore della nave cosmica di Karellen. Era tra i Superni: intorno a lui essi erano intenti alle loro misteriose faccende. Stormgren era spesso andato più vicino a loro di qualsiasi altro uomo, eppure come ogni altro terrestre ignorava tutto del loro aspetto fisico.
La saletta delle riunioni in fondo al breve passaggio era arredata unicamente con una sedia e un tavolino sotto il teleschermo e, secondo le intenzioni, non rivelava assolutamente nulla delle creature che l’avevano costruita. Lo schermo era vuoto e spento, come l’aveva sempre visto Stormgren. Talvolta in sogno, lui immaginava di vederlo accendersi improvvisamente, rivelando il segreto che assillava il mondo. Ma il sogno non si era mai avverato: dietro quel rettangolo di tenebra si annidava il mistero più impenetrabile. Ma vi si nascondeva anche potenza e saggezza, e soprattutto una infinita
tolleranza, una specie di divertito sentimento di affetto per le piccole creature che si affannavano sul pianeta Terra.
Dalla grata nascosta venne la voce calma, mai assillata dalla fretta, che Stormgren conosceva tanto bene e che il mondo aveva sentito una volta sola nella sua storia. La profondità e la risonanza di quella voce erano la sola indicazione sulla natura fisica di Karellen, e dava una chiara impressione delle sue dimensioni: Karellen doveva essere altissimo, più grande di un essere umano.
Alcuni scienziati, però, dopo avere analizzato la registrazione del suo discorso, avevano prospettato l’ipotesi che la voce fosse quella di una macchina, ma Stormgren non poteva crederci.
«Sì, Rikki, ho seguito il vostro breve colloquio. […] Da un mese ormai si conoscono i particolari sull’andamento della Federazione
Mondiale. C’è stato un sensibile aumento sulla vecchia percentuale del sette per cento dei miei oppositori, o sul dodici per cento
degli agnostici?»
«No, ma non è questo il punto più importante. Mi preoccupa, piuttosto, il sentimento generale, diffuso anche tra i vostri sostenitori, che è tempo di svelare il mistero di cui vi circondate.»
Il sospiro di Karellen fu tecnicamente perfetto, ma mancava di convinzione.
«Ed è anche il vostro sentimento, non è vero?»
La domanda era retorica, e Stormgren non si preoccupò di rispondere.
«Mi domando se vi rendete conto» continuò seriamente «di come questa situazione renda difficile il mio lavoro…»
«Credetemi, non facilita nemmeno il mio» rispose Karellen, con una certa vivacità.
«Vorrei che la gente la smettesse di considerarmi un dittatore e si ricordasse che sono soltanto un funzionario incaricato di seguire una politica coloniale nella cui elaborazione non ha messo mano.»

Tabella riassuntiva

L’apocalisse più tranquilla nella storia della fantascienza! Clarke scrive come un cane.
Ritmo rapido che accende sempre nuovi interrogativi. Personaggi subordinati a una storia più grande di loro.
Sense of wonder maiuscolo e a palate. Alcune trovate sanno un po’ troppo di deus-ex-machina.

(1) Questo difetto accompagnerà Clarke fino alla fine della sua carriera. E’ un particolarmente sentito in quei romanzi in cui le idee di fondo non sono abbastanza buone da mascherare la debolezza dei personaggi.
Spesso si cita The Songs of Distant Earth come esempio di un Clarke più attento alla psicologia dei personaggi. Sì, è vero che in quel romanzo Clarke si concentra molto sui rapporti sentimentali tra i protagonisti – peccato che il risultato sia osceno! Il risultato, infatti, è una specie di Dawson’s Creek sullo sfondo di navicelle spaziali e missioni planetarie, solo che gli sceneggiatori di Dawson’s Creek sono più bravi. Sembra che Clarke sia del tutto incapace di tratteggiare il mondo interiore di un essere umano in modo decente.Torna su

Dawson's Creek

“Presto, Dawson! Dobbiamo prendere la Magellano e andare a terraformare Sagan 2!!!”
“…eh?”

33 risposte a “I Consigli del Lunedì #16: Childhood’s End

  1. della golden age preferisco il giovane Asimov ma un Clarke non è male.
    Questo non l’ho ancora letto, grazie del suggerimento.
    In italiano è trovabile per esempio qui : http://cresciteundoblog.wordpress.com/

  2. lo sto rileggendo adesso… proprio perchè lo hai postato tu… porta però un po’ di pazienza…

  3. della golden age preferisco il giovane Asimov ma un Clarke non è male.

    Asimov scrive meglio di Clarke e ha scritto anche un numero maggiore di bei romanzi. In favore di Clarke però posso dire che le sue storie (almeno quelle più ben riuscite) suscitano più sense of wonder; Asimov punta più sull’intreccio e sull’acume delle idee.

  4. In attesa di finire questa rilettura, mi sento però di poter dire che “le storie ben riuscite” di Clarke secondo me si limitano a Rendevous with Rama…
    Non nego però che la mia totale antipatia per l’uomo giochi anche qualche ruolo in questo giudizio…
    😉

  5. Lo leggerò sicuramente! Probabilmente anche quelli brutti, tanto per godermi le idee di fondo.

  6. Non nego però che la mia totale antipatia per l’uomo giochi anche qualche ruolo in questo giudizio…

    Perché mai?
    Posso capire che a uno stia sul cazzo Heinlein, o magari Dick – ma un bonaccione invertito come Clarke?

    Lo leggerò sicuramente! Probabilmente anche quelli brutti, tanto per godermi le idee di fondo.

    Parli tu che hai abbandonato Red Mars? Ossia, hard sf purissima, più aggiornata scientificamente (di 40 anni rispetto a The Sands of Mars) e probabilmente scritta più dignitosamente dei romanzi di Clarke? ò_o

  7. Red Mars l’ho letto tutto e mi è piaciuto anche moltissimo (a parte una noiosa parte di esplorazione che mi ha ricordato i capitoli più tediosi e meno memorabili del Signore degli Anelli). Ho messo da parte Green Mars perché… bho? Durante l’anno scolastico non leggo mai per svago (è un mio limite) e negli ultimi tre anni ho dedicato le mie estati ad altre letture, per cui è rimasto lì a marcire sullo scaffale. Intendo comunque riprenderlo e terminarlo insieme a Blue Mars al più presto. Forse ciò che non mi ha spronato ad appassionarmi di più è stato il primo capitolo del secondo libro, che presenta personaggi nuovi inseriti in una situazione meno movimentata ed avvincente di quella con cui si concludeva il primo libro.

  8. A proposito: uno dei personaggi principali di Red Mars è un russo komunista dissidente e insurrezionalista alla guida dei ribelli contro l’imperialismo capitalista amerikano! Non è questo un buon motivo per leggere il caro Robinson? 😀

  9. L’ultima vignetta mi ha fatto sganasciare, e io non ho mai visto Dawson Creek!
    Di Clarke ho letto solo 2001, questo mi ispira parecchio!

  10. The Fountains of Paradise…seguirà tutte le fasi del progetto, tra ostilità dei nativi, mancanza di fondi, incidenti e cambi di rotta…

    una specie di TAV intergalattica! 😮

  11. Red Mars l’ho letto tutto e mi è piaciuto anche moltissimo

    Ops… ricordavo male io.

    A proposito: uno dei personaggi principali di Red Mars è un russo komunista dissidente e insurrezionalista alla guida dei ribelli contro l’imperialismo capitalista amerikano! Non è questo un buon motivo per leggere il caro Robinson?

    Ti dirò, la voglia di leggerlo mi sta aumentando in generale. Magari quest’estate…
    Sempre di Robinson, mi stuzzica anche The Years of Rice and Salt, un libro che sembra fatto apposta per far incazzare Zwei.

    The Fountains of Paradise…seguirà tutte le fasi del progetto, tra ostilità dei nativi, mancanza di fondi, incidenti e cambi di rotta…

    una specie di TAV intergalattica!

    Esatto! Solo che invece dei No-TAV ambientalisti ci sono dei monaci buddisti^^
    Se solo Clarke fosse ancora vivo, sulla TAV potrebbe scriverci un romanzo…

    L’ultima vignetta mi ha fatto sganasciare, e io non ho mai visto Dawson Creek!

    NOES!
    Ti manca un pezzo fondamentale della cultura gggggiovanile.

  12. Questo l’ho letto, ma non mi è piaciuto 😦
    Gli stacchi di tempo tra le tre parti sono troppo esagerati, in particolare il secondo che, anche grazie a dei colpi di scena piazzati male, mi ha buttata del tutto fuori dalla storia.
    Insomma, in generale mi è sembrato che l’ultima parte fosse davvero troppo i misteri dell’universooo, soprattutto se paragonata alle due precedenti. In linea di massima non mi ha trasmesso molto.
    E poi la psicologia dei personaggi è la cosa che per me conta di più in un libro.

  13. Sempre preferito Clarke ad Asimow, sebbene scriva da cani. Almeno nelle sue storie accade qualcosa, c’è un’idea di fondo che ti rimane in testa. Al contrario, nei libri di Asimov ci ho sempre e trovato puro autocompiacimento dell’autore per le sue trovate, spiegate in modo molto statico e senza una briciola di sense of wonder.
    Forse ho letto solo i suoi libri più brutti, forse sono una rompipalle io. Mboh.

    Tornando un attimo più o meno in tema, comunque, volevo linkare un giochino in flash che mi ha ricordato un po’le atmosfere di Rendezvous with Rama.

    Looming

  14. @Shò: Eh, sì. Quelli che hai elencato sono difetti oggettivi del romanzo.

    @Talesdreamer:

    nei libri di Asimov ci ho sempre e trovato puro autocompiacimento dell’autore per le sue trovate, spiegate in modo molto statico e senza una briciola di sense of wonder.

    Muori >.>
    No, vabbé: di sicuro Asimov è autocompiaciuto, però fa bene a esserlo. La Trilogia della Fondazione è avvincente oltre che intelligente, e i racconti dei robot (quelli con Powell e Donovan, e quelli con Susan Calvin) mi hanno sempre divertito molto.
    E poi mi vengono in mente almeno due romanzi di Asimov con molto sense of wonder, benché scritti male: La fine dell’eternità (viaggi nel tempo!), e la seconda parte di Neanche gli dei (alieni alienosi!).

    Tornando un attimo più o meno in tema, comunque, volevo linkare un giochino in flash che mi ha ricordato un po’le atmosfere di Rendezvous with Rama.

    °-°

    Un po’ troppo minimalista per i miei gusti…

  15. La voglia di leggere Red Mars ti sta aumentando perché ti ho ossessionato a sufficienza, o perché hai letto osservazioni positive o ricevuto consigli da altre parti?
    Esiste la possibilità che tu recensisca qualcosa di Asimov in futuro, o è troppo mainstream? Io lo avevo avvicinato da bambino con alcuni libri della saga di Norby che non mi erano piaciuti granché (che però apprendo dalla Wiki inglese siano stati scritti da sua moglie e che Isaac si limitò a fare un po’ di editing e a metterci il nome), e poi qualche anno fa lessi la raccolta di racconti I, Robot che invece trovai assai più “avvincente e intelligente”. E’ da molto che voglio avvicinarmi alla saga della Fondazione, ma per le ragioni che ho spiegato più sopra non ho ancora avuto modo di farlo. Sono anche confuso dal fatto che, essendoci sette libri, non saprei da quale cominciare. L’originale? I prequel?

  16. Finita la rilettura de Le Guide del Tramonto, a distanza di diverse decine di anni dalla prima.
    A suo tempo (ero giovane ed inesperto) mi era piaciucchiato, più che altro per il tema dello sviluppo dell’umanità verso qualcosa di diverso, e per il contrasto con la generazione precedente, destinata ad un’estinzione piuttosto triste.
    Oggi devo dire che il giudizio complessivo è più o meno lo stesso, ma per ragioni molto diverse. I difetti che il Tapiro ha evidenziato ci stanno proprio tutti, e diverse volte lo stile da libro di storia è veramente pesante. Lo sdolcinamento finale ora non solo non mi piace più, ma lo ritengo un punto debole, perchè il salto evolutivo che ne è la base è del tutto assurdo biologicamente. Vi sono però delle parti, non abbondanti ma nemmeno minuscole, di tensione narrativa veramente notevole anche oggi.
    Clarke non sa molto scrivere, ma sa quello di cui scrive. e credo questo sia il suo vero merito.

    @Tapiro
    io non ho mai creduto alla totale inconsistenza di certe accuse di pedofilia, perchè mi sembra di aver capito il tipo di vita che faceva in quella sperduta parte del mondo… uno dei pochi posti dove poteva permettersela

    La saga di Marte di Robinson ha certamente molte parti noiose… io non ho più comperato Blue Mars… Ma credo invece che The Years of Rice and Salt meriti davvero la lettura. Io l’ho divorato velocemente alla sua apparizione italiana, senza tanto spirito critico, e mi ha lasciato un ricordo molto buono. Ne avevo anche scritto in modo positivo. Mi è sembrato al livello di Le Tre Californie, e specialmente del primo volume: La Costa dei Barbari.
    Sia la serie di Marte che Le Tre Californie sono un esempio dell’affidabilità degli editori italiani: Mondadori ha pubblicato i primi volumi di entrambe le serie e poi più niente… invece la Troisi…

  17. @Giovanni:

    La voglia di leggere Red Mars ti sta aumentando perché ti ho ossessionato a sufficienza, o perché hai letto osservazioni positive o ricevuto consigli da altre parti?

    Diciamo che tu hai contribuito^^
    Ho letto un po’ di commenti in rete, e mi sono fatto un’idea di questo Robinson. Non un genio della scrittura, ma competente delle cose in cui scrive e capace di strutturare storie di ampio respiro.
    E poi parla di cose come la creazione programmata di ecosistemi: la cosa non può che eccitarmi sessualmente.

    Esiste la possibilità che tu recensisca qualcosa di Asimov in futuro, o è troppo mainstream?

    Il problema è che Asimov è già straletto in Italia, quindi parlarne sarebbe un po’ come fare un post su Tolkien.
    Se proprio decidessi farlo, parlerei di La fine dell’eternità, che è un libro molto suggestivo ed è tra i meno noti di Asimov (non facendo parte di nessuno dei suoi cicli).

    E’ da molto che voglio avvicinarmi alla saga della Fondazione, ma per le ragioni che ho spiegato più sopra non ho ancora avuto modo di farlo. Sono anche confuso dal fatto che, essendoci sette libri, non saprei da quale cominciare. L’originale? I prequel?

    A un amico che mi aveva fatto la stessa domanda, ho risposto così:
    a. Leggi la “Trilogia della Fondazione” originale (Prima Fondazione, Fondazione e Impero, Seconda Fondazione).
    b. Se decidi che ti piace e vuoi conoscere tutta la storia, allora leggiti il ciclo completo (nell’ordine interno delle storie, non nell’ordine in cui sono state scritte). Questo ciclo comprende non solo le storie della Fondazione, ma anche quelle dei Robot; l’ordine è questo:
    1) Abissi d’acciaio
    2) Il sole nudo
    3) I robot dell’alba
    4) I robot e l’Impero
    5) Preludio alla Fondazione
    6) Fondazione anno zero
    7) Trilogia della Fondazione (che a questo punto avrai già letto)
    8) L’orlo della Fondazione
    9) Fondazione e Terra
    In mezzo tra Robot e Fondazione ci sarebbero anche altri romanzi minori; ma sono tutti bruttini, e del resto sono abbastanza slegati dal resto della saga. Tieni conto inoltre del fatto che inizialmente i due cicli erano pensati come indipendenti; Asimov li ha uniti dopo molti anni, anche in seguito alle richieste dei fan.

    @mikecas:

    io non ho mai creduto alla totale inconsistenza di certe accuse di pedofilia, perchè mi sembra di aver capito il tipo di vita che faceva in quella sperduta parte del mondo… uno dei pochi posti dove poteva permettersela

    Ah, non ci avevo pensato. Non saprei: è raro che mi interessi più che tanto alle vite degli autori (con pochissime eccezioni, es. Dick).
    Per quanto riguarda Childhood’s End, d’accordo con te. E grazie per i pareri su Robinson (comunque non credo che leggerò i libri sulla California).

  18. Grazie della tua guida – me la sono copiata, in vista di un futuro in cui deciderò di leggermi tutto quanto! ^^
    Facendo una ricerca su I, Robot (uno dei romanzi minori bruttini di cui parlavi? anche se il termine “romanzo” non è del tutto adatto) ho scoperto che un adattamento autorizzato dallo stesso Asimov era in fase avanzata di pre-produzione già verso la fine degli anni ’70 (che non ha niente a che fare con la porcata di Will Smith del 2004). A detta dell’autore stesso, il film sarebbe stato “il primo film di fantascienza veramente adulto, complesso e degno di essere visto” (parole grosse, visto che il mondo aveva già conosciuto Metropolis e 2001: Odissea nello Spazio), ma per via di vari problemi il film non venna mai girato, e la sceneggiatura fu in seguito pubblicata nel 1994 (I, Robot: The Illustrated Screenplay, che mi procuerò sicuramente). A lavorare con Asimov sulla sceneggiatura era un tale Harlan Ellison, che apprendo fosse un pezzo grosso della speculative fiction. Conosci?

  19. @Giovanni: Stai facendo un po’ di confusione.
    Io, Robot non è un romanzo, è un’antologia di racconti di Asimov sul tema dei robot. Insieme a un’altra raccolta, Il secondo libro dei robot, è confluito nella mega-antologia Tutti i miei robot, che in Italia è edita da Mondadori.
    A quanto ho letto su Wikipedia, Ellison (che era un grande amico di Asimov) aveva preparato una sceneggiatura intrecciando tra loro più racconti. Questo è possibile perché i racconti dell’antologia, pur essendo autonomi, fanno quasi tutti parte di un’ambientazione condivisa: un futuro prossimo in cui la compagnia U.S. Robots and Mechanical Men è leader nella produzione di robot con cervello positronico. In questo mondo la gente comune è diffidente dei robot, che quindi vengono utilizzati perlopiù come strumenti per il lavoro pesante, specialmente fuori dalla Terra (i.e. su asteroidi come estrattori minerari, su pianeti disabitati come Mercurio, etc.). Questi robot sono inoffensivi per l’uomo, perché il loro cervello è costruito secondo le Tre Leggi della Robotica.
    Diversi di questi racconti hanno anche lo stesso personaggio, la robotologa Susan Calvin, specializzata in cervelli positronici e nel risolvere i guasti dei robot.
    Immagino ci siano due problemi che hanno sempre impedito di realizzare un film a partire da questa ambientazione:
    1. I robot sono inoffensivi. I racconti di Asimov sui robot sono più che altro dei rompicapi, in cui c’è un robot rotto o che comunque non fa il suo dovere, e il fulcro del racconto è scoprire cos’è successo. Invece Hollywood ha deciso che per il pubblico mainstream, robot = film d’azione con androidi che vogliono distruggere il mondo. Asimov quindi è inutilizzabile.
    2. Susan Calvin è brutta, asociale e saccente. Questo non è un vezzo di Asimov, è proprio parte integrante della caratterizzazione del personaggio. Susan Calvin viola le regole della protagonista femminile standard, e quindi è inutilizzabile.

    Su Harlan Ellison: non ho mai letto la sua fiction, però è un tipo simpatico. Il contributo più grosso che abbia dato alla sf è stato quello di creare “dal nulla” l’antologia Dangerous Visions, che ho cominciato a leggere e promette molto bene.
    E’ famoso soprattutto per alcuni racconti (‘Repent, Harlequin!’ said the Ticktockman, I Have no Mouth and I Must Scream, A Boy and His Dog, The Beast that Shouted Love at the Heart of the World). Ha anche scritto dei romanzi, ma sembra che non se li inculi nessuno.

  20. Grazie per il post, su tuo consiglio ho appena cominciato Childhood’s End.

    Farai in futuro un articolo su Heinlein?

  21. Grazie per il post, su tuo consiglio ho appena cominciato Childhood’s End.

    Questi commenti mi commuovono ç.ç

    Farai in futuro un articolo su Heinlein?

    Alas, purtroppo finora nella mia vita ho letto solo due romanzi di Heinlein, Starship Troopers e The Puppet Masters. Ma me ne sono già messi altri nel reader e li leggerò nei prossimi mesi, per cui colmerò la lacuna e probabilmente (se Heinlein è un fiQo come si presume) ci scapperà qualche Consiglio.
    Abbi fiducia.

  22. Tapiro, davvero un bel consiglio, questo. ^_^
    Il libro mi è piaciuto e, nonostante alcuni momenti “eh?!?”, si lascia laggere che è una bellezza.
    Parlando di “tecnica”, ti devo dare torto sul narratore onnisciente (io davvero non capisco ancora queste menate della serie “il N.O. è il male”) ma assolutamente ragione sulla gestione dei personaggi: qualcosa di veramente imbarazzante.
    I personaggi sono solo marionette, burattini senza un minimo di spessore. E diventano ridicoli quando Clarke cerca di caratterizzarli, come nella terza parte quando “Coso” pensa in modo indiretto roba del tipo “Coso non amava più Cosa. La relazione con Tizia, che andava avanti da un po’ di tempo, era molto meglio. Prima o poi l’avrebbe detto a Cosa”
    Invece per quanto riguarda la storia, più di una volta sono rimasto perplesso di fronte alla reazione dei terrestri. Non la ritengo naturale.
    In una situazione di forte stress come quella che potrebbe esserci dopo una invasione aliena, anche se benevola, e dopo aver capito di non poter rivaleggiare con gli alieni, non ci sarebbero, ad esempio, dei suicidi di massa?
    E quando SSSSSPPPPPPOOOOOOIIIIILLLLLEEEERRRRR
    (tapiro, mettilo in bianco se puoi) invece si scopre che i propri figli sarebbero diventati qualcosa di “non-umano”? Perché nessuno tenta un’azione di forza, anche solo uccidendo la propria prole?
    Karellen dice “non provate ad opporvi, noi non ve lo lasceremo fare” ma come? Gli uomini lo lasciano fare e non mi sembra un comportamento realistico.

    FINE SPOILER

    Da qualche parte hai parlato anche di “Incontro con Rama”; forse in un altro articolo?
    Beh… vorrei dire la mia:
    Ma quale era il senso di Incontro con Rama, se non quello di farci vedere che ambientazione figa ha costruito?
    A me, per tutto il tempo, ha tramesso questo messaggio: “guarda a cosa ho pensato, guarda qui! Ohhh… un cerchio di acqua con dentro le molecole di tutte le cose! oh!”
    Oltretutto, e forse perché ho perso qualche parte fondamentale, perché l’ecosistema si è messo in moto, avvicinandosi al sole?
    Perché è diventanto abitabile e pronto ad ospitare una probabile forma di vita – era questo interrogativo che mi spingeva a continuare a leggere: chi cazzo sono i Ramani? – se poi
    SSSSSPPPPPOOOOOOIIIIILLLLLLEEEEERRRRR
    tutto era già stato calcolato non per ospitare la vita ma per “caricare le batterie”?
    Mi sarei aspettato un incontro, un contatto… confermando ancora di più la sensazione del

    FINE SPOILER

    Mondo fatto e creato solo per far vedere a lettore come potrebbe essere una nave spaziale per viaggi di millenni.
    Che altro senso poteva avere la luce, le forme di vita “semibiologiche” e tutto il resto?

    Un’altra cosa che non mi è piaciuta è stata il troppo “buonismo”. Il “ciclista”, ad esempio, poteva anche schiantarsi, no? La scena finale sarebbe stata molto più drammatica pensando a quel poveraccio che starà per morire arrostito.

    Ora ti chiedo: mi sono perso un passaggio?

  23. davvero non capisco ancora queste menate della serie “il N.O. è il male

    Non ho detto “è il male”, ho detto che ostacola l’immersione, il che è un problema nella narrativa non-literary. Un mondo visto attraverso la regia occulta di un grande Demiurgo che ti sposta il punto di vista da un personaggio all’altro in continuazione e/o ti fa vedere tutto con una panoramica a volo d’uccello è oggettivamente meno immedesimativo e meno emotivamente coinvolgente di un mondo visto attraverso gli occhi di uno dei suoi abitanti. E infatti tutti i libri di Clarke che non hanno al centro una o più idee fikissime sono una noia mortale: leggere per credere.

    Su Childhood’s End:

    In una situazione di forte stress come quella che potrebbe esserci dopo una invasione aliena, anche se benevola, e dopo aver capito di non poter rivaleggiare con gli alieni, non ci sarebbero, ad esempio, dei suicidi di massa?

    Il suicidio non è una naturale conseguenza dello stress. In una condizione del genere, è normale delegare la responsabilità alle istituzioni (governi, esercito, etc.); magari lamentarsi, scendere in piazza, sfasciare vetrine, o rintanarsi in casa, ma non un suicidio di massa.
    Dove il suicidio diventa realistico è alla fine della cosiddetta “età dell’oro”, e infatti Clarke dice che molti lo fanno.
    Quanto a uccidere la propria prole, non vedo come possa essere un’opzione granché preferibile lasciarlo andare. Che alcuni lo facciano o meno, o provino a resistere, è ininfluente: Clarke (e questo è un suo difetto) ci mostra quasi solo scene di massa, e i risultati degli avvenimenti su scala globale, quindi non possiamo vedere cosa fanno i singoli individui (a parte i pochi personaggi della storia, che comunque non sono un “campione rappresentativo”).

    Su Rama:

    Oltretutto, e forse perché ho perso qualche parte fondamentale, perché l’ecosistema si è messo in moto, avvicinandosi al sole?
    Perché è diventanto abitabile e pronto ad ospitare una probabile forma di vita – era questo interrogativo che mi spingeva a continuare a leggere: chi cazzo sono i Ramani? – se poi tutto era già stato calcolato non per ospitare la vita ma per “caricare le batterie”?

    Sì, ti sei perso un passaggio.
    Il punto del romanzo è, in un certo senso, mostrarci l’insignificanza dell’essere umano (dal punto di vista tecnologico-evolutivo) e l’indifferenza degli alieni nei nostri confronti. Per buona parte del romanzo, i terrestri pensano che Rama si sia avvicinata al Sistema Solare o per puro caso, o per mettersi in contatto con noi.
    Ma alla fine si scopre perché si sono avvicinati: utilizzare il nostro sole come fonte di energia per ricaricarsi durante il lungo viaggio, che deve portarli da tutt’altra parte, e per utilizzare il suo campo gravitazionale per acquistare velocità e direzione sfruttando un effetto fionda. Una volta ricaricata, Rama si allontana dal Sistema Solare ignorando completamente la terra.
    Chi siano i Ramani con esattezza non si scopre mai. Quel che si scopre, è che la navicella conterrebbe un’ecosistema programmato per accendersi e rispegnersi, ricrearsi e ridissolversi automaticamente (in presenza di varie condizioni, come la vicinanza a una stella). In questo modo i Ramani potranno tornare alla vita una volta raggiunta la loro lontana destinazione, da un’altra parte del cosmo. Il processo di risveglio è stato innescato dall’avvicinamento al Sole, ma non è stato portato a termine perché la nave non c’è rimasta abbastanza a lungo (o forse non si è avvicinata abbastanza).

    A parte questo, che comunque è un concetto affascinante, sì, Incontro con Rama è un’esibizione di worldbuilding. Ma non è la stessa cosa della Troisi che inventa il Mondo Emerso; Clarke tenta di creare un costrutto complicato ma con una sua logica, rigoroso scientificamente (finché può) ed estremamente intelligente nella sua economia di mezzi. Credo che Rama sia una delle creazioni più fike nella storia della letteratura fantastica.
    A parte questo, son d’accordo che nei libri di Clarke la tensione, il ritmo e il senso del pericolo sono (quasi) sempre ai minimi termini. E infatti non ho mai nascosto che si tratta, sul piano formale, di un cattivo scrittore.

  24. Su Le Guardie del Tramonto:

    Effettivamente mi sono spiegato male io… non è il “forte stress” ma è la sensazione di impotenza che potrebbe provocare il suicidio.
    La terra viene invasa da una razza aliena che non si mostra ma che impone il suo comando. Ogni azione contro gli alieni si rivela un fallimento. La diplomazia e la violenza sono inutili.
    In uno scenario del genere, io vedo il suicidio come una “via d’uscita”, se non altro come una forma di libertà.

    “Dove il suicidio diventa realistico è alla fine della cosiddetta “età dell’oro”, e infatti Clarke dice che molti lo fanno.”
    Hai ragione… Clarke liquida il tutto con queste righe -.-

    “Ma altri, che avevano puntato più sul futuro che sul presente e che ave-vano perso tutto quello che rendeva la loro vita meritevole di essere vis-suta, non desideravano più vivere. Questi decisero di andarsene dal mondo e lo fecero, o soli o coi loro amici, a seconda del carattere.
    Fu così anche per Nuova Atene. L’isola era nata dal fuoco e scelse di morire nel fuoco. Coloro che preferirono andarsene se ne andarono, ma molti rimasero e finirono in mezzo ai resti dei loro sogni spezzati.”

    Cazzo, avrebbe potuto sfruttare la situazione per creare scene veramente belle.

    Sul fatto dell’assassinio dei propri figli non sono d’accordo.
    Anche qui penso che molti avrebbero scelto la strada dell’assassinio: non solo non sono più dei bambini umani, ma glieli stanno anche prendendo.
    Mi viene in mente “Jonestown”. Ok, quelli erano pazzi, esaltati, drogati e cose del genere ma se un migliaio di persone si toglie la vita (compresi i bambini) in una situazione come quella descritta da Clarke non ci vedo “niente di male” nell’ammazzare i figli, anzi lo troverei quasi logico.
    Ma probabilmente penso che quello che reputo “giusto” io sia giusto per la maggior parte delle persone.

    Su Rama:

    Si, hai ragione… Non l’ho visto da questo punto di vista, effettivamente ero troppo preso dalla delusione di non aver incontrato un Ramano ^_^

    Comunque non l’ho paragonato alla Troisi e al suo Mondo Emerso.
    Anche se non l’ho per intero (solo stralci in inglese a scuola… a proposito, ne varrebbe la pena?) e quindi dico sicuramente una cretinata, mi veniva in mente “I Viaggi di Gulliver”.

  25. Letto, finalmente. Bello bello bello *_* la prosa da cani di Clarke in verità nemmeno l’ho notata (eccetto qualche brusco cambio di PoV a inizio parte 2), ero troppo impegnata a fare “ooooh” ad ogni pagina. Sono una bimba facilmente impressionabile, chettidevodì.
    Il finale ha fatto un po’ scricchiolare la mia sospensione dell’incredulità, devo dire, ma grazie all’ottimo foreshadowing gli elementi meno scientifici si sono ben incastrati col tutto. Clap clap.

    E adesso ho voglia di scrivere un romanzo sui combattimenti psichici IN SPACE.

  26. SPOILER

    Sara’ perché li ho letti uno vicino all’altro, ma il finale di Childhood’s End, così come il pianeta Gaia descritto negli ultimi libri della Fondazione di Asimov, mi fece pensare che la fantasia di Clarke di una comunità di esseri superiori in grado addirittura di modificare l’universo in fondo era quello che adesso si immagina avverrà dopo la singolarità tecnologica. Trovo sia affascinante osservare come ai tempi di Clarke e di Asimov questa idea di trascendenza aveva un sapore più fantastico che scientifico, mentre oggi addirittura c’e’ chi pensa che questo nuovo modo di essere sia quasi alla nostra portata di mano (sto leggendo Kurzweil e lui e’ molto serio quando parla del “risveglio dell’universo”).

  27. @Tales:

    Sono una bimba facilmente impressionabile, chettidevodì.

    Lo sei veramente, se sei riuscita a non notare quell’aborto a rotelle che Clarke chiama prosa °_°

    E adesso ho voglia di scrivere un romanzo sui combattimenti psichici IN SPACE.

    Sì, credo bisogni fare qualcosa per la tua impressionabilità… xD

    @Giovanni:

    Trovo sia affascinante osservare come ai tempi di Clarke e di Asimov questa idea di trascendenza aveva un sapore più fantastico che scientifico, mentre oggi addirittura c’e’ chi pensa che questo nuovo modo di essere sia quasi alla nostra portata di mano (sto leggendo Kurzweil e lui e’ molto serio quando parla del “risveglio dell’universo”).

    Immagino tu stia leggendo il saggio Singularity is Near, di cui ho sentito parlare più volte.
    Com’è? Mi incuriosisce molto, ma le dimensioni disumane – 600 pagine circa – per ora me ne hanno tenuto alla larga…

  28. Si’, sto leggendo proprio The Singularity is Near, e penso che in seguito mi leggero’ anche How to Create a Mind. All’inizio ero un po’ scettico perché ormai il libro e’ vecchiotto (pubblicato nel 2005), ma il suo essere datato probabilmente aiuta a leggerlo con una maggiore consapevolezza. Kurzweil nel suo inguaribile ottimismo prevedeva una continua crescita economica, e per il 2020 prevedeva che avremmo già avuto a disposizione le prime nanomacchine (che al momento mi pare siano soltanto ancora una teoria ben lontana dall’essere messa in pratica). Le sue teorie pero’ non sono campate per aria, ma si appoggiano a studi ed esperimenti fatti da esperti dei rispettivi settori, e propone delle idee interessanti. Certi capitoli pero’ ammetto di scorrerli velocemente, perché per sostenere le sue idee propone grafici e formule che non sono alla mia portata. Mi fido che lui ci crede e mi accontento di leggere le conclusioni che ne trae.

  29. Pingback: Le miracolose eccezioni della fisica nella fiction | Un fiume da un panno strizzato

  30. Per chi fosse curioso e ricevesse ancora le notifiche dei commenti a questo post, lascio qui questo trailer (i tre episodi della miniserie sono già stati trasmessi in america): https://www.youtube.com/watch?v=tC2j-AZsJIA

    • Yep, sapevo che la serie era in uscita, grazie per il link!
      Per caso l’hai già vista?

      L’idea di una serie su Childhood’s End, che adoro, mi affascina, ma il romanzo ha una struttura piuttosto strana e quindi mi chiedo come la renderanno. Soprattutto per la carenza di ‘dramma’ e di antagonisti nel senso tradizionale della parola.
      Immagino che ciascuno dei tre episodi, comunque, corrisponda a uno dei tre periodi temporali del romanzo.

      • Sì l’ho vista e mi sono subito pentito di averla segnalata qui. Per rendere la serie più “drammatica” hanno allungato il brodo dando al rappresentante dei terrestri una storia d’ammmore drammatica che non aggiunge niente alla storia se non buchi nella trama imbarazzanti (dirrò solo che gli Overlords sono onnipotenti solo quando gli fa comodo, a volte possono curare una ferita mortale con un raggio di luce, altre c’è bisogno di una medicina rarissima di cui c’è solo una siringa a disposizione in tutto l’universo). I personaggi sono un cliché dietro l’altro, le donne sono tutte femmine stupide (rispettivamente: quella gelosa perché il suo fidanzato pensa solo alla sua ex e agli alieni e non ha mai un momento per lei, il fantasma della ex che sembra Gwyneth Paltrow ma più bella lì per fare da sogno erotico al protagonista, quella bigotta la cui madre ancora più stupida si è suicidata perché quando sono arrivati gli alieni ha perso la fede, la scienziata che anche i concetti più stupidi le devono essere spiegati dal suo ragazzo scienziato più interessato agli alieni che a lei, la madre dei bambini psichici che non ammetterebbe sta accadendo qualcosa di insolito nemmeno se Aldo le suonasse il campanello vestito da Conte Dracula nel cuore della notte). Non che i maschi siano tanto meglio, ma almeno sono quelli che “fanno cose”.

        Insomma un’altra occasione sprecata per colpa di persone mediocri che volevano giocare a fare le persone intelligenti. Secondo me invece di una miniserie ci sarebbe stato bene un film di massimo un’ora e mezza ridotto all’osso giusto per presentare il concept e non vergognarsi che non c’è niente di più di quello – un approccio alla Under the Skin, per esempio.

        Tra questo e l’ultimo Star Wars non so cosa mi ha deluso di più.

  31. Ottimo! Una serie in meno da guardare X°D

    Aldilà dello scherzo, mi spiace sia finita male.
    Significa che certamente trascorreranno anni e anni prima che qualcuno riprovi a fare un adattamento del romanzo.

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